Un racconto approfondito di sfide, valori e strategie per costruire Bully Chicken, un brand autentico e scalabile nel mondo del food
Stefano, cosa ti dà più coraggio oggi, nel tuo mestiere da imprenditore? Hai un momento preciso che ti ha fatto capire “ok, ora faccio il salto”?
Il coraggio, come tutte le virtù umane, è un seme presente in ognuno che scaturisce quando si prova un fervente trasporto verso qualcosa che ancora non abbiamo conquistato ma che vorremmo raggiungere. Nel mio caso sono cresciuto attraverso un percorso faticoso, che ha plasmato la mia personalità verso la conoscenza del vero me e che mi ha costretto fin da giovane a trovare nel coraggio di osare la strada maestra per una vita piena, piena di valori, piena di speranza, piena di ambizione personale ma non per questo allontanandosi dal fatto di restare sempre un uomo semplice, che trova felicità nelle cose più piccole ma più preziose della vita.

Raccontaci della volta in cui sei andato a parlare in carcere: cosa ti ha cambiato dentro? E come quell’esperienza ha influenzato il tuo modo di fare impresa?
È stata una esperienza forte perché consapevole di essere un uomo libero in mezzo a ragazzi che la libertà l’avevano perduta. Ho cercato di dare il mio sincero contributo a persone che hanno perso la bussola dell’integrità per un momento ma che potevano ancora ritrovarla, magari anche grazie ad un seme che ho loro lasciato nei cuori. Il mio modo di fare impresa è cambiato nel pratico molte volte da quando ho cercato di intraprendere nella vita ma non sono mai cambiati i valori guida che mi portano a voler cambiare il “pezzetto di mondo” che conduco attraverso la divulgazione ai miei collaboratori e soci degli stessi valori che cerco di rispecchiare e rispettare tutti i giorni, da sempre.
Com’è nata l’idea di Bully Chicken? Da dove viene il nome?
L’idea di Bully Chicken che oggi è sul mercato è una revisione di un progetto iniziato con i due soci che sono tutt’oggi con me, Davide (head food) e Michael (amministratore e head costruction) dopo un grande stravolgimento iniziale. Volevamo investire nell’ambito del family friendly creando un locale di dimensioni generose atto all’intrattenimento musicale da palco, sketch per famiglie con bambini e buon cibo.
Poteva sicuramente funzionare nel singolo locale ma la mia idea imprenditoriale è settata sul voler scalare i business e questa idea non avrebbe permesso una semplice replicabilità perciò ho chiesto ai miei soci un po’ di tempo per chiudermi in ufficio e studiare Branding e Marketing per 6 lunghi mesi investendo qualche migliaio di euro e leggendo circa 20 libri sul tema. Questo mi ha permesso di semplificare la comunicazione, ho creato il payoff, il claim, il visual hammer e ho identificato 4 leve che il Brand doveva assolutamente cavalcare per attaccare frontalmente il mercato ed essere subito aggressivi.
Il naming Bully Chicken è merito del mio socio Michael che aveva quel nome nel “taschino” da molti anni e che doveva appartenere ad un suo progetto personale poi non andato in porto e lo ha messo sul tavolo prima di tutto questo mio studio. È un nome che, anche da solo, senza ancora un progetto che poi si è definito, piacque sia a me che a Davide e, una volta concluso lo studio che ho fatto come detto, abbiamo utilizzato perché forte, decisivo e memorabile.
Dopodiché ho voluto giocare su un piano diverso rispetto a tutti i competitor, ribaltando il concetto del mero food (che da noi è italiano e genuino) integrandolo completamente con un messaggio valoriale ed emozionale che parlasse ai cuori delle persone, creando da zero il disegno di una mascotte, il nostro Bully, che si facesse portavoce di un messaggio forte, che potesse ispirare le persone, attraverso un pasto fast ma di autentica qualità, ad avere quel coraggio di uscire dagli schemi e ribellarsi positivamente ad una società che ci vorrebbe tutti uguali quando in realtà siamo esseri unici e irreplicabili. Ciò ci consente di giocare su un piano emotivo e di impatto sociale che non ci fa giocare ad armi pari ma ci colloca in una sfera collettiva più alta (questo è il mio sogno ed obiettivo e lo raggiungeremo).
A Torino aprire uno store significa confrontarsi con una scena gastronomica già vivace. Qual è la tua strategia per emergere? Qualcosa che vi differenzia davvero dagli altri?

Intanto abbiamo deciso di essere un fast food in mezzo a tutte hamburgerie gourmet o meno perché nessuno ha avuto il coraggio di sfidare i grandi colossi americani che tutti conosciamo e già questo basterebbe per differenziarci portando per altro avanti il nostro orgoglio di essere italiani e genuini così come il cibo che abbiamo e che il nostro Head Food Davide ha scelto personalmente andando di fornitore locale in fornitore locale per favorire l’imprenditoria del territorio ed avere parimenti un prodotto genuino e italiano di nome e di fatto.
Oltre questo aspetto, già di per sé considerevole, come dicevo prima rappresentiamo i nostri tre valori fondanti che sono l’italianità, la genuinità e la verità che fanno da contraltare al più profondo messaggio che Bully vuole trasmettere: il coraggio di uscire dagli schemi e rendere onore all’unicità di ogni cliente che varcherà la nostra soglia. All’interno del nostro locale si può scrivere la propria frase di coraggio contribuendo a una gamification mensile ed annuale che premierà i meritevoli delle frasi migliori di vincere menù gratis a vita da noi e di essere inseriti nel Wall of Fame all’interno dei nostri store.
Qual è stato il tuo più grande fallimento fino ad ora e cosa ti ha insegnato? Come fai a rimetterti in piedi?
Ne ho avuti due: uno sportivo e uno imprenditoriale. Lo sportivo all’età di 17 anni, quando mi ruppi la caviglia durante la partita più importante per me che mi avrebbe permesso di essere acquistato da una squadra di Eccellenza che mirava alla Serie D l’anno successivo. Una volta rotto non mi volle più nessuno e smisi di giocare. Quello imprenditoriale quando aprii due negozi di pokè senza esperienza nel food e finii, con i soci del tempo, a doverli svendere perché non incassavamo abbastanza per errori sia nostri che anche di chi ci aveva promesso marginalità che non erano vere se non su una teorica tabella excel che però non rispecchiava assolutamente la realtà.
Mi servì molto e imparai la lezione. Mi sono sempre rialzato semplicemente facendo leva sul fatto che dando tutto me stesso e avendo un atteggiamento di fondo sempre basato su passione sincera e impegno profondo, anche le cadute, seppur sempre difficili, non ti negano di guardare al futuro con speranza perché sai che dagli errori che hai fatto con pulizia morale puoi solo che imparare, ma non pentirtene perché comunque genuini e fisiologici nella vita di ognuno. È impossibile non sbagliare mai, l’importante è sbagliare imparando e avendo calcolato prima anche lo scenario negativo per rimanere comunque in piedi anche dopo lo scenario peggiore. Solo chi non fa niente non può sbagliare niente.
Guardando al futuro: dove vuoi che Bully Chicken sia fra 5 anni? Espansione nazionale, concept store, franchising, altri rami?
La prima proiezione è validare il format e confermare ciò che il movimento attorno sembrerebbe avere generato. Poi se gli scontrini sono all’altezza di ciò che l’attenzione del nostro marchio sta generando in Torino allora si potrà pensare a una espansione prima a macchia d’olio in città e prima cintura e poi eventualmente uno sviluppo italiano ma sarebbe troppo arrogante adesso metterlo sul piatto perché ancora dobbiamo dimostrare tutto. Comunque non ti nego che la mia visione è scalare a marchio nazionale con i primi locali di proprietà 100% e poi iniziare con delle joint venture. Lo vedremo, adesso siamo solo neonati.

Come bilanci autenticità del brand – magari con le tue radici, i valori che ti stanno a cuore – e necessità commerciali come scalabilità, margini, marketing?
Quando sei autentico arrivi perché oggi è tutto finto, artefatto, costruito. Le necessità commerciali sono una eventuale conseguenza di ciò che è un messaggio autentico e sicuramente martellante perché il marketing prevede questo, che tu sia sempre presente e posizionato nella mente delle persone. I margini sono stati calcolati a tavolino ma non sono stati la priorità nella costruzione e forse ne diventeremo più bravi con il tempo. Per crescere prima devi nascere, quando nasci poi aggiusti anche in corso d’opera, l’importante è non smarrire autenticità, messaggio e promessa al cliente. E questo non lo faremo mai altrimenti non avrei messo la faccia con la mia persona e il mio personal branding, una delle leve che ho voluto cavalcare da subito.
Quali sono le persone che ti ispirano (nel business, nella vita) e quali consigli ti hanno dato che hai applicato davvero?
Nel business mi ispirano tutte le persone che ce l’hanno fatta partendo da zero, mi piace leggere le biografie di tutte le persone che hanno creato attraverso il loro fervido impegno e che magari sono partite svantaggiate donando loro la forza e la fame per passare dalla fatica al successo. E per me il successo non è qualcosa che luccica fuori da te ma un brillante che hai costruito dentro di te grazie al sacrificio, la passione, il coraggio, la dedizione e la collaborazione con persone che, chi per un modo e chi per un altro, ti accompagnano in un percorso condiviso e vicendevolmente vincente.
A cura di Mario Altomura
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