Il nuovo film di Mario Chiavalin approda su Prime Video e riporta al centro della scena la figura di Giuseppe Taliercio, dirigente della Montedison ucciso dalle Brigate Rosse, trasformando una pagina dolorosa della storia italiana in un racconto di umanità, fede e speranza
La forza del racconto e il valore della memoria
Nel panorama del cinema italiano, pochi registi riescono a fondere sensibilità artistica e memoria civile come Mario Chiavalin. Con il suo ultimo lavoro, Giuseppe Taliercio – Il delitto perduto, disponibile su Prime Video dal 18 ottobre 2025, il regista veneto compie un gesto profondo e necessario: restituire voce e dignità a un uomo che la violenza del terrorismo aveva tentato di cancellare.
La pellicola rievoca la tragica vicenda di Giuseppe Taliercio, dirigente dello stabilimento Montedison di Porto Marghera, sequestrato e ucciso nel 1981 dalla “colonna veneta” delle Brigate Rosse. Ma Chiavalin non vuole limitarsi a rievocare un fatto di cronaca: costruisce un racconto intimo, umano, denso di riflessione. “Non si tratta solo di ricordare, ma di comprendere chi siamo diventati grazie – o a causa – di quelle ferite”, afferma durante la presentazione dell’opera a Mestre, città che ha ospitato l’anteprima nel novembre 2024.
Il regista sceglie di affrontare la storia con uno sguardo limpido e partecipe. La macchina da presa non cerca il sensazionalismo, ma il silenzio, le attese, le sfumature emotive di un uomo che rimane fedele ai propri principi anche di fronte alla paura. Chiavalin trasforma il cinema in un ponte tra passato e presente, ricordando che “la memoria è un dovere collettivo, non un esercizio retorico”.
Il percorso creativo di Mario Chiavalin

Il progetto nasce da un lungo periodo di ricerca e meditazione. Mario Chiavalin approfondisce documenti, testimonianze e archivi per comprendere a fondo la figura di Taliercio e il contesto di quegli anni. Solo dopo aver scavato nella memoria collettiva e personale, decide di dare forma a un racconto cinematografico capace di emozionare e far riflettere.
Il regista affronta numerose difficoltà produttive, ma non si arrende. Lavora con una troupe motivata, scegliendo di privilegiare l’autenticità alla spettacolarità. “Non volevo un film costruito su effetti, ma su emozioni vere”, spiega in un’intervista. Le riprese si svolgono tra Mestre, Porto Marghera e le aree industriali che ancora oggi conservano le tracce di quella stagione complessa. Ogni luogo diventa parte integrante del racconto, come se il cemento, le fabbriche e la nebbia avessero ancora qualcosa da dire.
Chiavalin costruisce un film che unisce rigore storico e sensibilità artistica. Il suo sguardo penetra nell’animo dei personaggi, restituendo un mosaico di sentimenti, scelte e contraddizioni. “Ho cercato l’uomo, non l’eroe”, dice il regista, rivelando la sua volontà di raccontare Taliercio non come simbolo, ma come essere umano che affronta la paura con dignità.
Le interpretazioni e la profondità del cast
A dare volto e voce a Giuseppe Taliercio è Michele Franco, che offre una performance intensa, costruita su silenzi, sguardi e gesti misurati. La sua interpretazione cattura la dimensione più intima del protagonista, restituendo l’immagine di un uomo determinato e al tempo stesso vulnerabile. Accanto a lui, Manuela Metri interpreta la moglie con delicatezza e forza, mostrando il dolore e la resilienza di chi vive la prigionia del proprio caro nell’incertezza più assoluta.
Mario Chiavalin guida il cast con sensibilità, evitando eccessi drammatici e scegliendo la sobrietà come linguaggio della verità. Ogni scena si carica di significato attraverso la semplicità delle emozioni, costruendo un equilibrio tra tensione e introspezione. “Il dolore non ha bisogno di urla per farsi ascoltare”, sottolinea il regista.
L’alchimia tra gli interpreti contribuisce a rendere il racconto universale. Il film non parla solo di un uomo o di un’epoca, ma di valori come l’onestà, la lealtà e la coerenza. Chiavalin usa il linguaggio cinematografico come strumento di memoria viva, ricordando che ogni storia, anche la più tragica, può diventare un’occasione di consapevolezza.
Un film che restituisce voce al silenzio

Giuseppe Taliercio – Il delitto perduto si afferma come un’opera che intreccia impegno civile e poesia visiva. Mario Chiavalin riesce a unire la precisione dei fatti storici alla profondità del racconto emotivo, regalando allo spettatore un’esperienza che va oltre la narrazione lineare. Il film non si limita a ricordare, ma invita a interrogarsi sul presente e sulla responsabilità della memoria.
Grazie alla distribuzione su Prime Video, il lavoro di Chiavalin raggiunge un pubblico sempre più ampio, avvicinando anche le nuove generazioni a una storia spesso dimenticata. La critica apprezza la sua capacità di evitare la retorica e di dare spazio all’autenticità dei sentimenti.
Alla fine della proiezione, resta una sensazione di gratitudine: quella di aver ritrovato un frammento di verità in un tempo che tende a dimenticare. Mario Chiavalin, con la sua regia delicata e intensa, ci ricorda che “la memoria è un atto d’amore verso chi ha scelto la coerenza invece della paura”.
Con questa pellicola, il regista non solo omaggia Giuseppe Taliercio, ma riafferma il potere del cinema come luogo di coscienza, emozione e testimonianza. Ricordare non significa guardare indietro, ma capire meglio chi siamo oggi.
Per approfondire e guardare il film: primevideo.com
A cura di Mario Altomura
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