Milena e la body shaming raccontata… sulla sua pelle

Mettersi davanti all’obiettivo per molte ragazze non è solo motivo di vanità, ma è un modo per vincere le proprie paure e dimostrare ciò che con le parole o con i fatti non è riuscita prima. Per Milena Aulita gli shooting sono stati una rivincita sulla body shaming e su quel corpo con cui ha ‘lottato’ per arrivare ad un equilibrio.

Questa è la sua storia, le sue impressioni e i suoi sentimenti. Incominciamo dal fondo, dalla ultima frase che ha detto: “Nessuna donna dovrebbe essere trattata in certi modi, nessuna donna dovrebbe sentirsi merce al servizio degli uomini: ogni donna è unica”. Strano che ancora oggi si debba sottolineare un aspetto delle relazioni sociali così ovvio: siamo persone, non merce o cose, e come tali abbiamo dei sentimenti che vanno sempre al di là di quello che si vede e che si percepisce.

“Non ho mai voluto che le persone sapessero tutto di me”, esordisce, “Negli anni mi sono creata delle barriere difensive. In particolar modo dalla ‘body shaming’, io e il mio corpo abbiamo avuto la relazione più tossica che si possa immaginare”.

L’età dello sviluppo è stato ancor più traumatico di come dovrebbe essere: “Cominciò tutto dal pregiudizio, ma peggiorò quando ho sviluppato le mie forme, caratteristiche che ciascuna donna possiede. Provavo un forte senso di disagio, notavo lo sguardo malizioso da parte degli uomini, mi sentivo sporca all’idea di indossare abiti succinti a tal punto che avevo l’esigenza persistente di coprire tutto. Iniziai così ad usare vestiti over size, mi sentivo protetta, al sicuro in quelle vesti. La gente non aveva modo di giudicare come apparisse il mio corpo, nessuno poteva dirmi se le mie forme fossero o non fossero evidenti a sufficienza, o semplicemente se fossero fatte bene o male in base alla loro considerazione”.

Poi le cose cambiano e il desiderio di femminilità torna a galla: “Nel corso del tempo è sorto il desiderio di esplorare la mia femminilità e di concedermi quegli abiti sexy che sognavo di sfoggiare e credo sia stato il motivo principale per il quale è iniziata la mia strada nel mondo della fotografia: posare come modella era la mia forma di protesta, la mia rivincita.

Il mio corpo è sempre stato oggetto di conversazione ed era una cosa che detestavo. Ad oggi sono arrivata al punto di indossare vestiti per me stessa come scelgo – sempre per me stessa – di mettere in risalto le mie forme quando me la sento”.

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